«Il nostro cuore non è fatto di pietra. La pietra a un certo punto può andare in frantumi, sbriciolarsi, perdere ogni forma. Ma il cuore non può andare in frantumi. E questa cosa senza forma che ci portiamo dentro, buona o cattiva che sia, possiamo trasmetterla gli uni agli altri senza limiti». Così, Haruki Murakami.
E però, il terremoto ce lo si porta dentro, dopo, ed è difficile che smetta di squassare, di tremare, di minare la vita interiore di ciascuno. La terra non è più solida, per chi ha vissuto un terremoto: ciò che evoca universalmente la stabilità, improvvisamente smette d’essere tale, e nella coscienza resta l’inquieta sensazione di stare in equilibrio su qualcosa che bolle, la percezione d’una instabilità che rischia di dilagare, a livello esistenziale.
In un simile quadro, emotivamente malfermo, contare su di un luogo didattico sicuro, su una scuola dove i tuoi figli possano studiare senza il tarlo – tuo, loro – della terra che può iniziare nuovamente a tremare, equivale a un approdo felice in un mare in tempesta. Ad un ospedale innalzato ai bordi d’una battaglia.
Una guerra, per l’appunto, è la metafora che Micaela (Micaela Buccolini, moglie del sindaco di Sarnano, Franco Ceregioli) non può fare a meno di evocare, quando pensa a quei giorni. «Un conflitto inimmaginabile e surreale: luoghi familiari che improvvisamente cambiano aspetto e funzione. Il palazzetto dello sport, dove quasi cinquecento persone erano accampate, dal bambino al malato all’anziano, proponeva uno scenario di guerra, con la sua tragica precarietà e parimenti con tante punte di diamante d’umanità, con legami nuovi e forti, con – tra i più giovani – l’accelerazione verso una forzata maturità, una nuova responsabilità».
Come per le torri gemelle, così il terremoto nelle Marche: ciascuno ricorda con esattezza dov’era, cosa stava facendo, come ha reagito, cosa ha pensato. Gli eventi più gravi sono avvenuti in tre fasi: il sisma iniziale, il 24 agosto 2016, di notte. Il secondo, nel tardo pomeriggio e nella serata del 26 ottobre, il terzo nella prima mattina del 30 ottobre.
Racconta Micaela: «Alla prima scossa ero, insieme a parte della mia famiglia, al mare. Nostro figlio maggiore, 21 anni, era rimasto a casa. Tanto spavento, il rientro immediato, e mio marito che da quel momento è stato assorbito full time dai suoi doveri istituzionali. La seconda scossa mi ha colto al supermercato. Franco era a fare rilievi, proprio nella scuola media G. Leopardi, insieme agli assessori ed ai tecnici. Ricordo gli scaffali tremare, la merce rovesciarsi a terra, ed il pensiero che è andato a mio figlio minore, 13 anni, che era a casa a studiare. Poche ore dopo, una scossa ancora più forte, con i muri di casa che si crepavano, le piastrelle che saltavano, le soglie di marmo spaccate, gli oggetti che cadevano ovunque. In quei momenti, confesso, non sono riuscita a muovermi… Mi son messa sotto ad un trave portante, abbracciando mio figlio, aspettando, sperando che quell’inferno finisse.
Con mio marito (che aveva vissuto la scossa da dentro la scuola, con i vetri che esplodevano e spaccature che ridisegnavano i muri), abbiamo valutato più prudente trasferirci nel camper che tenevamo sotto casa. Tre giorni dopo – era il 29 ottobre – la terra sembrava aver smesso di ribollire e stavamo per risolvere di rientrare. Un giorno ancora, per sicurezza, ha detto Franco. E l’indomani, la scossa più forte ci ha trovati a letto, nel camper. Tutto sobbalzava, una barca in mezzo al mare, e le onde non finivano di squassarci. Sulle prime, non ho potuto neppure alzarmi dal letto. Poi ho pensato: la nostra casa. Non c’è più. E il paese, neppure. Pura disperazione. Ma abbiamo aperto la serranda e visto la nostra casa, ancora in piedi, e le torri del paese, ed abbiamo tirato un respiro di sollievo. A quel punto, di corsa, in pigiama, a cercare i parenti, con le comunicazioni in tilt, con l’ansia per i nostri cari, per gli amici, per i compaesani. Mio marito è andato via quasi immediatamente, per coordinare l’emergenza. E da quelle ore è stata sempre “emergenza”, né si è potuto permettere il minimo segno di cedimento, perché doveva trasmettere sicurezza, sostenere i cittadini, dando loro tutto l’aiuto possibile. Sono rimasta nel camper, con mia suocera e i miei figli, cercando di riorganizzare la vita proprio come dopo un bombardamento… Dopo qualcosa che arriva e sovrasta, che capita senza che tu possa smarcarti».
Passano i giorni, passano i mesi. La gente, anche quella che vive magari a trenta o quaranta chilometri di distanza, torna alla normalità e, fatalmente, dimentica. Per chi vive a Sarnano – come negli altri centri vittime del sisma – l’emergenza viceversa prosegue, tanto che sembra di vivere una realtà parallela, difficile da spiegare a chi non la sta sperimentando sulla propria pelle… Una paura strisciante, piccoli grandi disagi, come la scuola spostata di pomeriggio, in un improvvisato “doppio turno” che – laddove la madre lavori di mattina, proprio come Micaela – di fatto fa saltare gli equilibri familiari. Piccoli grandi disagi come – peggio – l’attesa di poter rientrare in casa, di poter riavere una casa.
Luca Piergentili è assessore ai lavori pubblici, allo sport ed alla raccolta differenziata. Il suo sorriso, la sua bonomia e disponibilità incondizionata, dimostrate nei mesi della ricostruzione con il team ABF e OTB, non fa trapelare la propria condizione, complessa e precaria. Perché anche Luca è stato sfollato. Tutt’oggi vive, con la moglie e le sue quattro figlie – delle quali la prima è disabile ed ha necessità di cure permanenti e importanti – in tre stanze. Sei persone in un residence di tre vani.
Alle prime scosse – ci racconta – è corso al centro diurno, dove tra gli altri ragazzi disabili c’era sua figlia… «Poi, subito abbiamo attivato insieme al Sindaco un Coc (Centro operativo comunale, ndr) per la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso. Il Palasport era integro: lo abbiamo tramutato in centro di accoglienza. Anche se l’affluenza, dopo il sisma d’agosto, era minima. È in ottobre che, nel giro di tre ore, ci siamo trovati a dover gestire la permanenza all’intero della struttura di quasi cinquecento persone».
Un tragico crescendo, fino alla scossa del 30: «Ero in famiglia, ho cominciato a vedere i muri aprirsi, poi le tubature dell’acqua che scoppiavano, le mie bambine (al tempo di sette, nove, undici e tredici anni) che correvano, impaurite… Ci siamo diretti subito al palasport, portando l’ossigeno, la carrozzina, i presidi medici».
Nel frattempo, l’attività di amministratore, in una circostanza così grave, ha chiesto a Luca una presenza costante… Millequattrocento sfollati da sistemare, una delle fonti economiche più importati – le terme storiche – distrutte…
«Se il paese si svuota, ci siamo detti in Comune, è molto difficile che poi venga ripopolato. Ci siamo rimboccati le maniche, nessuno escluso. Le terme le abbiamo spostate, con una operazione importante che, in tempi record, ha rivitalizzato una zona del paese e mantenuto il lavoro per trenta famiglie. Abbiamo utilizzato le seconde case e la ricettività alberghiera per sistemare provvisoriamente tanti nuclei familiari, abbiamo, non ultimo, raccolto la scommessa (che si è rivelata vincente) di preferire quella che qualcuno definiva “l’insicurezza delle donazioni” alla “sicurezza” dei fondi statali.
Oggi abbiamo una nuova scuola media, una struttura all’avanguardia, che sta già attraendo a Sarnano tante famiglie. Oggi festeggiamo una cavalcata contro il tempo, un’avventura entusiasmante con persone eccezionali (il team delle fondazioni ed i tecnici che hanno coinvolto)… Donne e uomini che hanno dato l’anima, per questo progetto».
Mentre, amaro contraltare, un’altra realtà didattica che pure ha trovato un donatore e dunque la totalità dei fondi necessari, ma che ha seguito l’iter pubblico, vede il progetto fermo, impastoiato in continui rimandi e richieste… «Venti giorni fa, una perizia archeologica, dieci giorni fa, una perizia per eventuali residuati bellici, e così via».
L’assessore Piergentili non ha dubbi: per le sue figlie spera che il futuro sia qui, a Sarnano. «Certo, il terremoto è un’esperienza che ha inciso profondamente sulla loro psicologia, come su quella dei loro coetanei. Però i bambini ritrovano le energie attraverso i risultati. È fondamentale che ci sia un obiettivo e che poi sia raggiunto, che la promessa sia mantenuta. Come la loro nuova scuola, che hanno visto crescere dalle finestre della provvisoria sede delle lezioni, facendo il tifo per chi ci stava lavorando, nonostante il freddo e la neve. Con la scuola, è stata messa in sicurezza anche la loro speranza, la loro fiducia nel futuro. È stata disarmata la loro paura».
Paura: un lusso che anche Sabrina Tidei, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Sarnano, non si è potuta permettere neppure per un istante.
Una doccia fredda, fin dal 24 agosto: il terremoto è avvenuto ad appena tre settimane dalla sua nomina a quel ruolo. Sono subito iniziati i sopralluoghi, una ricognizione meticolosa che è partita proprio dalle scuole del paese. I primi interventi localizzati, i ripristini… Poi, il resto del sisma (che ha vanificato i due mesi di lavoro), poi altri crolli, il centro storico sulle prime evacuato e presidiato, e l’ufficio tecnico che – fino a dicembre 2016 – è rimasto pressoché interamente sulle spalle di Sabrina.
A lei, il compito di tanti dolorosissimi “no”, negando l’accesso alla propria casa spesso a persone anziane, che nelle loro abitazioni ci erano nate e vissute un’intera vita. Anche la responsabile dell’ufficio tecnico, per i suoi due figli (uno dei quali frequenta adesso la scuola appena inaugurata), desidera un futuro a Sarnano.
Il nostro cuore non è fatto di pietra… La pietra a un certo punto può andare in frantumi, sbriciolarsi, perdere ogni forma. Ma il cuore non può andare in frantumi. Lo scrittore giapponese Murakami (che ben conosce cosa significhi vivere in una terra ad alto rischio sismico) coglie nel segno. Le case forse, le cose fatte dall’uomo talvolta, ma il cuore non può andare in frantumi, e gli abitanti di Sarnano lo sanno. E con grande cuore hanno fatto la loro scelta, individuando solidi puntelli (per resistere, per ripartire) nei valori sani propri del loro territorio, nella fratellanza di una comunità montana, nella natura meravigliosa che la circonda e la consola.
È in un contesto fertile, collaborativo, empatico, che le fondazioni istituite da Andrea Bocelli e da Renzo Rosso hanno trovato lo spazio e l’agio perfetto, per realizzare il loro progetto d’aiuto.
Un circolo virtuoso che ha dato vita ad una scuola che non è solo una scuola. «Persino da un disastro può nascere qualcosa di buono – sorride la moglie del primo cittadino di Sarnano – perché con questa struttura Sarnano ha acquisito un modello di riferimento, sia per ciò che l’Istituto G. Leopardi è (centro didattico ma anche di aggregazione e di empowerment per la comunità, che ha ricadute importanti sulla qualità dell’offerta del territorio) sia per come è stato realizzato: centocinquanta giorni, dalle fondamenta al taglio del nastro. Un modello da divulgare e da esportare».
Giorgio De Martino