Figlio di Haiti   

Considerando anche la vasta area metropolitana intorno alla capitale, pare che Port-au-Prince conti quasi quattro milioni di persone. Eppure Gerald, puntualmente, ovunque egli sia, incrocia amici da salutare, mani da stringere, sorrisi da condividere. Capita nel traffico caotico del centro, nelle polverose strade laterali o nei mercati, capita nelle scuole, negli ospedali, con gli studenti in divisa e le bambine dalle treccine colorate ma anche con i piantoni che, fucile in spalla, aprono e chiudono i cancelli d’ogni possibile sito di saccheggio (anche scuole, anche ospedali).

La sua famiglia è Haiti, la sua casa è grande quanto la sua patria: ray-ban a goccia, sorriso da pubblicità, un telefono che non gli dà tregua, Gerald ha trentacinque anni, una laurea in medicina ed un’esperienza esistenziale densa al punto che – a doverla raccontare – si potrebbe diluire in più vite, senza che nessuna appaia disadorna. Di certo ha scalato montagne, per arrivare dove è arrivato. Non una pagina dei libri su cui ha studiato gli è stata regalata, e quel guadagnare la vetta metro dopo metro l’ha temprato sino a diventare ciò che è oggi: un riferimento cruciale, per Haiti (la sua grande famiglia) e per la Andrea Bocelli Foundation (i suoi parenti italiani).

Sua ispirazione, modello di vita, punto di riferimento e “padre” (perché padre è chi ti cresce) è Rick Frechette, il visionario medico e sacerdote, direttore di N.P.H. Haiti. È guardando a lui, seguendolo sull’altare da chierichetto e poi nella clinica mobile del servizio sanitario di strada, che Gerald comprende la propria missione.

Quanto all’altra colonna portante del suo mentore, alla scelta dell’abito talare, avrebbe voluto abbracciare anche quella, e ci ha persino provato.

ABF

Il 3 aprile 2015, per il M° Bocelli, è l’ultima sera ad Haiti. Il giorno successivo lo attende un concerto presso l’Anfiteatro Altos de Chavón, in Repubblica Dominicana. A Villa Francesca, hotel solidale di Port-au-Prince che riunisce una dozzina di bungalow, Gerald ha la propria residenza. Fresco di laurea, sta lavorando come medico volontario nel vicino ospedale St. Luc.

Una serata conviviale saluta ed abbraccia idealmente l’artista benefattore, giunto sull’isola con Veronica e con la piccola Virginia. Gerald è tra gli organizzatori dei festeggiamenti. In quelle ore ha occasione di conversare, dapprima con i vertici dello staff ABF, poi con la stessa Veronica. Infine conosce Andrea: giusto il tempo per una fotografia, che immortalerà il primo incontro.

Nei giorni successivi, gli scambi di vedute proseguono tra i vertici operativi ABF ed il giovane dottore. La fondazione sta cercando un proprio referente, un profilo capace, di polso e di cuore, con ottima conoscenza del territorio, un Project manager in grado di seguire da vicino ogni cosa. Padre Rick conferma ed anzi enfatizza con convinzione le ottime impressioni avute da Veronica, Laura, Olimpia. Ed è così che Gerald si trova improvvisamente immerso in questa nuova avventura, dapprima affiancando per alcuni mesi la sua amica di sempre, Roseline Paul (Project manager per la Fondazione Rava), poi, gestendo in prima persona la complessa macchina filantropica e di empowerment realizzata da ABF ed in crescita costante: sanità, educazione, prevenzione…

Gerald continua il proprio servizio ospedaliero e – cellulare alla mano – corteggia l’ubiquità seguendo costantemente realtà che distano anche dieci ore di macchina l’una dall’altra. La pressione, psicologica ma anche assai concreta, è davvero tanta. Tuttavia, quali potenti vaccini, il dottore haitiano mette in campo l’entusiasmo e la capacità di rimboccarsi le maniche e ripartire ogni volta… Strategie vincenti di chi, fin dalla prima infanzia, ha familiarità con le sfide.

Rilancia, Gerald: firma egli stesso nuovi progetti ed accoglie l’opportunità di ampliare le proprie competenze mediche in Italia.

Ciò significa che dovrà vivere, periodicamente, lontano dalla propria amatissima isola, ed ancor più lontano dai suoi più grandi amori. Perché, nel frattempo, è diventato padre, e le figlie: la maggiore Geratti di tre anni, e Brunie di un anno. Lui stringe i denti, scommette investendo sul futuro di Haiti (un’isola che ad oggi conta su appena tre chirurghi pediatrici. Tre, per l’intera popolazione!); punta sulle proprie generose energie e sulla consuetudine al sacrificio. In un cuore grande d’altronde c’è posto per tutti, per i suoi pazienti adulti e bambini, per le migliaia di studenti delle scuole che periodicamente visita (sempre come volontario); ma la parte più intima dei suoi pensieri è là, accanto alle figlie. Ed ogni giorno, ovunque egli sia – quantomeno via Skype – dà la buonanotte alle sue bambine, in attesa di poter riunire la famiglia.

L’incontro della vita

Un passo indietro. Gerald ha undici anni quando viene ricoverato in condizioni critiche. In seguito a complesse vicissitudini, dopo una lunga degenza passerà più di dieci anni della sua vita nell’orfanotrofio di Kenscoff (dove incontrerà Padre Rick).

Lasciato il mare per la fredda montagna, senza amici ma con tanti coetanei coi quali spartire ogni onere e l’orologio dell’intera giornata, Gerald inizialmente fa fatica ad ambientarsi. Poi, piano piano, si adatta, scopre la gioia di imparare, partendo da zero, e stringe amicizia con alcuni dei suoi futuri colleghi, trova dei nuovi fratelli in Roseline Paul, Augusnel Osmè, Nebez… personalità oggi fondamentali, nel “rinascimento” sociale e sanitario dell’isola.

Padre Rick sta ancora studiando medicina. Va e viene dagli Stati Uniti per sostenere gli esami. I ragazzi dell’orfanotrofio sono tutti figli suoi: li ascolta, li motiva, esprime positività in ogni azione, insegna loro attraverso l’esempio quotidiano, abbraccia tutto e tutti grazie ad una militanza cristiana che non fa proselitismo ma che egli irradia nel quotidiano, nella luce totalizzante di una scelta.

Gerald lo avvicina due anni dopo il suo arrivo sui monti di Kenscoff. Inizia ad assisterlo nelle funzioni in chiesa; poi, quando Padre Rick termina gli studi e inaugura una clinica mobile, il chierichetto chiede di poterlo aiutare, di essergli accanto. Così Gerald tocca con mano con sistematicità la sofferenza, la precarietà sanitaria, la miseria, ma anche la compassione, il lavoro testardo ed instancabile del prete dottore che, “facendo”, esprime gli insegnamenti del Vangelo meglio di qualunque predica.

Sette anni di scuola primaria, altrettanti di secondaria: questa, la scansione dell’istruzione, ad Haiti. Gerald è cresciuto, non ha ancora terminato gli studi che già insegna, di mattina ai bimbi della primaria, di pomeriggio ai suoi compagni un po’ più giovani, della secondaria. È l’anno di “Give back”, è il modo per ripagare la struttura del fatto di essersi presa cura di lui. Una volta terminato il periodo di volontariato, dato che l’orfanotrofio ha una lunga lista d’attesa di bambini da accogliere, per Gerald è il momento di lasciare il luogo che l’ha cresciuto.

La vocazione all’aiuto

Poco più che ventenne, a Gerald restano tre anni per diplomarsi, ma ha una gran fretta e brucia più che può le tappe, approfondendo, nel frattempo, lo studio dell’inglese, dello spagnolo, del computer. Non sa come, dove, né con quali denari, ma sa per certo che prima o poi riuscirà ad entrare all’università, e farà il medico, proprio come padre Rick. Sarà il medico di tutti, ed in particolare dei bambini: ricorda bene, infatti, che sono stati i medici a salvargli la vita, quando degli angeli in camice bianco si sono occupati di lui, pensando a guarirlo e a dargli un futuro.

Nei lunghi anni di Kenscoff, l’atteggiamento di servizio costante, tenuto da Gerald nei confronti dei suoi compagni, aveva già fatto pensare, tra gli educatori, ad una sua possibile vocazione sacerdotale. Nel triennio conclusivo degli studi superiori, svolto presso un istituto di N.P.H., la direttrice, una suora, cerca di incrementare in lui tale attitudine. Lo coinvolge infatti in numerose attività della locale comunità cattolica, al punto da portarlo con sé in Canada, alla Giornata Mondiale della Gioventù, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II.

Concluso il ciclo della scuola secondaria, Gerald entra in seminario e vi rimane alcuni mesi. Ma comprende – come spiegherà in un difficile incontro chiarificatore con la suora – come non sia, quella, la strada giusta per lui: la sua vocazione è aiutare la gente, proprio come lei, come Padre Rick e tante donne e uomini di chiesa, ma desidera farlo senza indossare l’abito talare.

 Gli anni dell’università 

L’instabilità politica di Haiti contagia gli atenei della capitale: tra manifestazioni ed occupazioni, poter frequentare un corso di studi con regolarità è una chimera. Gerald non vorrebbe abbandonare Port-au-Prince, ma le turbolenze sono tali, che vale tentare altre strade. Prova a spedire una domanda di iscrizione anche presso la facoltà di medicina della Repubblica Dominicana. Qui, nell’estate 2007, è volontario in un orfanotrofio (dove ritrova la sua amica Roseline) e dopo sei mesi inizia il percorso universitario, terminato sei anni dopo, nel febbraio 2014, con il conseguimento della laurea a pieni voti e con la consegna da parte dell’ateneo del dono simbolico di un anello d’oro, riservato a coloro che si sono meglio distinti nel corso degli studi.

Sono anni molto duri, trascorsi nel parallelo approfondimento delle lingue (dato che le lezioni sono tenute in spagnolo e in inglese), ma anche nel costante esercizio del lavoro, per potersi mantenere agli studi. Padre Rick gli ha garantito una borsa di studio, per le tasse universitarie, ma bisogna acquistare i libri e trovare una sistemazione: lo studente collabora con una ONG, alle dipendenze di un prete canadese, riceve in cambio i denari per i testi di medicina e può inoltre utilizzare un angolo dell’ufficio per la notte.

Il 12 gennaio 2010 Gerald non è ad Haiti. Saputo del terremoto, d’istinto vorrebbe tornare. Ma quasi subito comprende di essere, almeno in quel momento, più utile là dove si trova. Ogni giorno infatti, terminate le lezioni e il lavoro (è impegnato nel supporto alla nascita di un centro devozionale per giovani preti) si dirige nelle zone di confine, dove può controllare e “spingere” per far passare e far giungere a destinazione il cibo e le medicine che iniziano ad affluire, inviate dalle organizzazioni umanitarie internazionali.

Dopo la laurea, Gerald rientra finalmente in patria: per un anno lavora come medico volontario presso l’ospedale St. Luc: è un modo per restituire il privilegio di aver potuto assolvere – attraverso la borsa di studio – alle tasse universitarie.

Andrea Bocelli, nell’aprile 2015, visita l’isola e le strutture realizzate dalla fondazione che prende il suo nome.

Costruire il futuro  

Tre scuole a regime, due ulteriori in fase di edificazione, progetti inerenti reparti ospedalieri della maternità, cura e prevenzione dell’AIDS, distribuzione dell’acqua negli slum, potabilizzazione della stessa presso le scuole, ristrutturazione (quando non ricostruzione) di abitazioni fatiscenti. È solo una parte di ciò che ad Haiti, grazie ad ABF, sta accadendo, simultaneamente, anche in questo istante.

Gerald conosce assai bene la realtà complessa della sua terra e sa interpretare quei bisogni che, se assolti, potenzialmente sono in grado di generare valore e futuro. Assorbe dunque le esigenze del suo popolo e le razionalizza in nuovi progetti, alcuni dei quali stanno già prendendo forma.

Memore dei tanti viaggi fatti da ragazzo insieme a Padre Rick, delle cure itineranti presso le comunità disagiate, propone una “Mobile clinic” espressa in agili task force ospedaliere, in grado di raggiungere i luoghi più poveri dell’isola, dove si muore ancora a causa di malattie lievi, curabili attraverso una banale profilassi.

Inoltre, coniugando il peso artistico planetario dell’ideatore della fondazione con il talento di tanti bambini haitiani, nasce “Voices of Haiti”, il progetto musicale che verrà inaugurato in settembre a New York: un grande coro che potrebbe apparire ambizioso punto d’arrivo ed invece è solo il punto di partenza di un grimaldello – l’arte dei suoni, l’arte in genere – in grado di contagiare, motivare, dare speranza a tante giovani vite.

Le difficoltà non mancano: non tutte le famiglie comprendono l’opportunità offerta ai loro figli. In casi sporadici, addirittura non si desidera una loro emancipazione… Ma iniziative educative simili hanno proprio, quale valore aggiunto, la possibilità di monitorare contesti a rischio e salvaguardare i minori da eventuali vessazioni domestiche.

Gerald, di sé, dice di essere un uomo fortunato. Il suo futuro? Ad Haiti, non ha dubbi. E per le sue figlie? Si augura che anche loro, quando cresceranno, abbiano la forza e la volontà di sposare la medesima scelta. Ma tra vent’anni Haiti sarà ciò che potrebbe essere (un paradiso terrestre, inno alla bellezza, alla dolcezza ridente della vita)? Probabilmente non basteranno, per guarire il paese dalle sue croniche, endemiche malattie: in primis una classe politica distratta (per usare un eufemismo) e tendenzialmente dedita più ai propri interessi che a quelli del popolo che rappresenta (per usare un ulteriore eufemismo).

Andarsene, però, equivale a fare il gioco di chi sfrutta e sfibra questo potenziale paradiso (già peraltro prostrato dai noti eventi calamitosi). Andarsene è la risposta peggiore, è gettare la spugna, e Gerald non è caratterialmente uso a darsi per vinto. C’è, viceversa, bisogno di fare, subito, di ricostruire, guarire, insegnare… Resta, Gerald Beaubrun, ed invita noi tutti a dargli una mano. Proprio come faranno – si augura – le proprie figlie. Per loro, come per tutti i bambini di Haiti, desidera sopra ogni cosa dare ciò che ritiene essere il più potente, fondamentale strumento, in grado di fare la differenza per costruire un futuro (il proprio e dell’isola): la scuola, la conoscenza, l’educazione… Saper comprendere, per sapere cambiare.

Giorgio De Martino